ELEZIONI E SPOIL SYSTEM

Il così detto spoil system (letteralmente: metodo del bottino) è la pratica politica, nata negli Stati Uniti d'America nell’ottocento, secondo cui gli alti dirigenti della pubblica amministrazione cambiano con il cambiare del governo.

Un sistema tradizionalmente estraneo al nostro ordinamento giuridico amministrativo, invece basato sull’aforisma, attribuito a Giolitti, per cui “I ministri cambiano, ma i direttori generali restano”.

  1. L’antefatto e i presupposti

Lo spoil system è stato introdotto nel 2001, e ne vedremo le caratteristiche, non prima di avere narrato e spiegato l’antefatto, o meglio l’humus concettuale e culturale in cui esso è germogliato e cresciuto, sostanzialmente quale reazione ai mutamenti introdotti negli anni ’90 del XX secolo nei rapporti tra P. A. (che è meglio chiamare Burocrazia per andarne alla sostanza, anche se tecnicamente scorretto) e potere politico.

Nel sistema tradizionale il Ministro (o in genere il vertice politico) si atteggiava quale Giano Bifronte, come capo politico ma anche vertice amministrativo del dicastero o dell’ente.

Nella c.d. “amministrazione per atti”, la Burocrazia, aveva il compito di istruire e preparare lo strumento dell’amministrare, l’atto o provvedimento appunto, la cui esternazione era riservata a chi, per immedesimazione organica, rappresentava la volontà finale: il Ministro quale capo dell’amministrazione, che esercitava così il potere amministrativo reale.

Dagli anni ’90, si afferma un concetto diverso di azione amministrativa, fondata non più sugli “atti”, ma sui “risultati”, sulla scia degli studi sulla più efficacie organizzazione manageriale.

Da qui la critica a quel modello, oggettivamente obsoleto, e alla concentrazione del potere amministrativo nelle mani di un “estraneo” alla Burocrazia: il Ministro.

Il sistema antico era anche fortemente criticato perché favoriva la gestione politica, clientelare e puramente partitica della amministrazione da parte del potere politico, decisore unico anche in sede amministrativa.

La valorizzazione dei “risultati” piuttosto che dei mezzi, spinse a una summa divisio tra Ministro e Burocrazia, tra determinazione dell’indirizzo politico e amministrazione.

Il risultato atteso per il primo è la realizzazione dell’obbiettivo politico, libero nei fini per determinare un preordinato assetto di interessi nella società.

Il risultato atteso per la Burocrazia è la gestione della P. A. finalizzata alla realizzazione dell’obbiettivo politico espresso nella direttiva del Ministro, rispettando gli obbiettivi gestionali assegnati nonché adempiendo il compito proprio del burocrate che è quello di rispettare e far rispettare le regole (von Mises).

In tal modo si sarebbe concretizzato quel “rapporto di agenzia” tra Politica/principale, e Burocrazia/agente, tendente alla realizzazione dell’interesse pubblico.

La canonizzazione di questo diverso modo di intendere l’” amministrare” si ebbe con l’art. 3 del d.l.vo 3 febbraio 1993, n. 29 (oggi abrogato e sostituito dall’art 4 del d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165 di contenuto pressoché identico).

In tale norma si opera una netta cesura tra le funzioni del titolare dell’indirizzo politico-amministrativo (Ministro, Presidente etc.), cui spetta di definire gli obiettivi (politici) ed i programmi da attuare, nonché la verifica della rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali politiche e amministrative da un lato, e dall’altro quella dei dirigenti, cui spetta la gestione  finanziaria, tecnica e amministrativa, delle risorse umane e strumentali, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione e l'adozione di tutti gli atti  che  impegnano l'amministrazione verso l'esterno, rimanendo responsabili della gestione e dei relativi risultati.

  1. Le conseguenze della separazione tra indirizzo politico e amministrazione

Ai fini della nostra riflessione, due sono le conseguenze rilevanti di questa rinnovata impostazione.

La prima, che si rafforza il potere della Burocrazia all’interno della funzione pubblica, si accentua il fenomeno della autoreferenzialità di un potere che diviene autonomo e indipendente, titolare di interessi propri e dotato del potere necessario a soddisfarli, situazione ben evidenziata da Max Weber.

Si consideri anche che la Burocrazia dei singoli ministeri o enti diviene acefala, poiché il Ministro o Presidente non è più il “capo unico dell’amministrazione”. Questa si frammenta in una moltitudine di luoghi di potere, potenzialmente superiorem non ricognoscens.

Il ripescaggio della figura, non obbligatoria, del segretario generale con poteri di coordinamento dei direttori generali, quasi un amministratore delegato del Ministero, si è rivelato un tentativo inane, per svariati motivi che non è il caso di indagare in questa sede, fra cui spicca però la considerazione che anche in presenza di un S. G. permane la responsabilità amministrativa in capo ai dirigenti generali cui sono attribuiti obbiettivi di risultato specifici, e quindi la loro autonomia gestionale e autoreferenzialità.

La seconda conseguenza è che la responsabilità politica del Ministro o Presidente finisce per dipendere esclusivamente dalla efficacia della azione amministrativa, sulla quale egli non ha però poteri incisivi. Di indirizzo, ma non di ordine quanto alla concretezza dell’azione amministrativa. L’elenco delle funzioni spettanti in particolare al Ministro contenuta nel comma 1 dell’art. 4 del d.l.vo 165 2001 citato, è sconfortante per chi abbia esperienza di amministrazione, perché è l’elencazione di armi spuntate o non riguardanti i controlli di merito.

Corollario di ciò è che il rapporto di agenzia Politica/Burocrazia non si atteggia, come si vorrebbe, come rapporto semplice da mandante (principale) a mandatario esecutore (agente), ma sconta le dinamiche proprie di un rapporto tra pari. Infatti, in esso entrambe le parti perseguono propri interessi (leciti beninteso, non privati) in posizione di perfetta parità: l’uno il raggiungimento dell’obbiettivo politico, la realizzazione dei propri programmi, il consolidamento della sua posizione politica, la rielezione etc. L’altra il trattamento economico, la stabilità della posizione e della funzione, il mantenimento di posizioni di potere e di prestigio etc. Per raggiungere l’equilibrio tra gli interessi, entrambe affrontano, quindi, costi di transazione che in realtà sono sopportati dalla società civile, in termini di ridimensionamento parziale degli obbiettivi politici attesi, maggiore burocratizzazione e quindi maggiori costi amministrativi per imprese e cittadini, maggiori costi della macchina burocratica etc.,

Si determinano così situazioni di così detto trade-off nell’equilibrio tra gli interessi in gioco. Tra gli interessi della parte burocratica più coinvolti nei fenomeni di trade off ve ne sono due che meritano particolare attenzione.

Il primo, di cui non ci occuperemo in questa sede per la sua vastità e complessità, è rappresentato dal bisogno di sfuggire le responsabilità amministrative, penali e contabili derivanti da una alluvione di norme assolutamente incontrollabile. L’amministrazione difensiva è un male assai peggiore della corruzione.

Il secondo, che qui interessa, è dato dal contrasto ideologico tra burocrate e Ministro che, anche se talvolta senza malizia, conduce l’azione amministrativa a contrastare e non realizzare l’indirizzo politico.

  1. Modello puramente teorico

Ad avviso di chi scrive, la sottovalutazione di questa conseguenza negativa deriva da un assioma errato e da un equivoco.

Quanto al primo, l’assioma tipicamente ed eminentemente teorico dei fautori e sostenitori di questo sistema, vuole che sia l’interpretazione sia l’attuazione delle regole siano univoche. Quindi, secondo la tesi, mentre il politico cercherebbe di forzare, eludere, aggirare le regole per il raggiungimento ad ogni costo di un fine politico, e talvolta partitico, il burocrate oggettivizzerebbe la volontà del Parlamento e, applicando la interpretazione “giusta” delle regole come attuando la gestione “giusta” di esse, non potrebbe non realizzare l’obbiettivo politico “giusto”. Sembra riemergere il passato principio della presunzione di legittimità degli atti e comportamenti della P. A. abbandonata da decenni, per cui la apparente modernità di questo impianto risulta essere la ripresa di un modello vetusto.

Questo assioma lungi dall’essere, come dovrebbe, principio per sé evidente, non ha viceversa alcun riscontro con la realtà giuridica e gestionale.

Innanzi tutto invocare una interpretazione univoca di una regola, che per altro dovrebbe essere in tesi patrimonio esclusivo del burocrate, è un non senso. La regola si invera nel caso concreto e quindi la sua interpretazione ha sempre margini di opinabilità e di flessibilità per il semplice motivo che il diritto si deve adattare alla realtà e non viceversa. La ripetibilità, costanza e prevedibilità della interpretazione (volgarmente chiamata certezza del diritto) deve essere conciliata con la variabilità della realtà.

In secondo luogo, e proprio per questi motivo, pochissime sono le norme che si prestano ad una interpretazione univoca e ancora meno quelle di cui sia univoca la applicazione. Amministrare, infatti, vuol dire scegliere e qualunque scelta è discrezionale dipendente dalla realtà dei fatti. Non nel senso che sia arbitraria, ma in quello più profondo che essa deve valutare e soppesare gli interessi in gioco al cui contemperamento la norma tende e modellare l’attuazione non in vista di una astratta procedura amministrativa o logica interpretativa, ma dell’effettivo raggiungimento di quell’equilibrio.

Da ciò deriva che il margine di autonomia del burocrate è amplissimo, e quel che è peggio, che non è sanzionabile né controllabile dal politico, i cui strumenti non sono né giuridici né gestionali, ma appunto politici, e alle cui rimostranze il burocrate può opporre sempre la interpretazione “giusta” che di fatto frustra l’indirizzo politico.

In altri termini, il decisore politico si trova in situazione di asimmetria informativa rispetto ai modi concreti di interpretazione e applicazione delle regole nei confronti di cittadini e imprese sicché egli è costantemente vittima dell’azzardo morale del burocrate.

Cosicché, il sistema così astrattamente e teoricamente concepito dall’art. 3 del d.l.vo citato, ha condotto ad una preponderanza di situazioni di trade-off tra il soddisfacimento dell’interesse politico del principale (e del cittadino) e quello del burocrate/agente.

Quanto al secondo, l’equivoco, esso si annida nell’attribuire all’azione amministrativa un carattere di asetticità, proprio quale conseguenza della presunta univocità della interpretazione e della attuazione. In altri termini, l’azione amministrativa non sarebbe altro che la esecuzione pedissequa e indifferente dell’indirizzo politico attraverso atti e comportamenti cui è estranea alcuna connotazione politica.

  1. Le ragioni dello spoil system

La realtà non è nel senso illustrato nei paragrafi precedenti. L’allocazione dei mezzi, l’esercizio della discrezionalità, le modalità dell’azione amministrativa che incidono sui tempi e sui risultati, costituiscono atti politici, non in senso giuridico, ma fattuale. Essi, infatti, traducono nella realtà l’indirizzo politico il quale, senza di essi, sarebbe un mero flatus vocis, un semplice auspicio o un disegno astratto.

La piena condivisione da parte della Burocrazia degli obbiettivi politici, la totale lealtà nei loro confronti oltre alla capacità professionale, sono condizioni imprescindibili perché la Politica raggiunga i suoi fini. Sicché gli atti e comportamenti della P. A. partecipano dell’azione politica, massimamente quelli posti in essere dai vertici dei singoli plessi amministrativi. Mentre, infatti, nei confronti dei burocrati di rango inferiore soccorre la potestà d’ordine del dirigente generale, nei confronti di quest’ultimo, come si è visto, non si riscontra un analogo potere del Ministro.

Conclusivamente, pur nella distinzione tra indirizzo politico e attività amministrativa, non può obliterarsi la considerazione che l’una influisce, condiziona, favorisce o frustra il primo.

Da queste riflessioni è scaturita la introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento dello spoil system, per quanto edulcorato. Esso è stato, ed è, lo strumento principe per ridurre l’impatto di quella che a ben ragione si può considerare la creazione di un quarto potere dello Stato, eccedente e invadente, conseguente alle impostazioni teoriche criticate.

Nel gioco tra Politica e Burocrazia, in costanza del contratto dirigenziale, i fenomeni di trade off e di azzardo morale possono essere scovati e combattuti con l’utilizzazione dei poteri di verifica della “rispondenza dei risultati dell’attività   amministrativa   e della gestione agli indirizzi impartiti.” (Art. 4 comma 1. Del d.l.vo 165/2001). Verifica assai complessa e che comporta enormi costi per il controllo minuziosi dell’agire amministrativo. E’ sempre possibile, infatti, contestare al dirigente la violazione delle direttive politiche e amministrative, ma ciò, evidentemente, avviene solo a cose fatte: troppo tardi per i cittadini.

Occorre quindi agire in prevenzione ad evitare l’insorgere dei fenomeni negativi lamentati e la dissipazione di risorse, per altro con verifiche normalmente a cose già fatte.

Lo spoil system agisce, appunto, in prevenzione, garantendo la compatibilità e omogeneità di visione tra il Ministro e il Dirigente nella condivisione degli obbiettivi politici e di amministrazione. Garantisce quindi dai fenomeni di trade off o di azzardo morale, sia non intenzionali ma dipendenti da visioni inconciliabili, sia a maggior ragione intenzionali.

E’ una misura di riequilibrio delle posizioni squilibrate da una applicazione eccessiva del principio di separazione tra indirizzo politico e amministrazione di cui si è discorso.

  1. Lo spoil system

Lo spoils system è stato introdotto dall’art. 19, comma 8 del d.l.vo 30 marzo 2001, n. 165, poi variamente modificato, che nel testo attuale prevede la cessazione automatica degli incarichi di alta dirigenza nella pubblica amministrazione passati 90 giorni dalla fiducia al nuovo esecutivo.

La norma si applica ai soli incarichi dirigenziali così detti apicali, disciplinati dal comma 3 del medesimo articolo 19, vale a dire gli incarichi di Segretario Generale di ministeri o enti, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno a loro volta in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente. Si tratta dei Dipartimenti dei ministeri, cioè di strutture affidate a dirigenti generali così detti di fascia A) a fini retributivi, composte a loro volta da strutture affidate ad altri dirigenti generali, così detti di fascia B), oltre a quelli di livello equivalente negli enti pubblici e in altre strutture pubbliche, secondo i rispettivi ordinamenti.

Al momento della sua introduzione lo spoil system era per altro congruente e conforme al mutamento dell’impianto politico generale del Paese e sua naturale conseguenza. Comune era l’insoddisfazione verso un sistema rappresentativo puramente proporzionale e la tendenza ad introdurre, in vari modi, il meccanismo maggioritario, nella fiducia che ciò avrebbe condotto a maggiore stabilità di governo. Nel 1993 fu approvata la legge elettorale maggioritaria nota come Legge Mattarella o Mattarellum.

Nel 1993 fu approvata la legge elettorale maggioritaria nota come Legge Mattarella o Mattarellum, la cui idea di base era di spingere il sistema politico al bipolarismo, obbligando i partiti a formare coalizioni per competere nei collegi uninominali, costituitesi quindi non dopo il responso proporzionale delle urne, ma prima di esso. Ma soprattutto, il cambio di paradigma di quel periodo fu rappresentato dal conseguenziale obbligo per le coalizioni di presentarsi ali elettori con precisi programmi di governo di coalizione. Il programma, quindi, è divenuto il nucleo e il contenuto di una sorta di “patto elettorale”, il cui mancato rispetto o la cui mancata realizzazione determina il fallimento del Governo stesso ed è prodromo di un ricambio politico.

Ancora più stringente, dunque, si fa l’esigenza di monitorare, controllare e correggere l’attività amministrativa che di quel fondamentale “patto” è lo strumento principale, se non unico. Lo spoil system è appunto il meccanismo che tenta di garantire a priori e preventivamente l’adesione convinta di tutta la P. A. al programma di governo

Non è un caso se ne 1992 fu istituito presso la Presidenza del Consiglio l’Ufficio per l’Attuazione del Programma di Governo, elevato poi nel 2005 a Dipartimento con a capo un Ministro senza portafoglio.

  1. Caratteristiche dello spoil system e aspetti costituzionali

Il comma 8 dell’art. 19 citato ha avuto vita travagliata. La prima modifica ha introdotto l’automaticità della decadenza dei Dirigenti Generali se non confermati entro 90 giorni dall’insediamento del nuovo governo. Esso era stato esteso, in secondo tempo (anche dalle leggi regionali), a dirigenti generali non capi di dipartimento, a dirigenti non generali, a figure di vertice di società pubbliche, e da leggi regionali ai direttori generali di ASL etc. A seguito di numerosi interventi della Corte Costituzionale, che ha falcidiato l’articolo, e dello stesso legislatore, la norma è oggi ritornata alla formulazione della prima modifica, con l’automatismo e le limitazioni di cui si è appena dato conto.

Nella sentenza n. 233/2006 la Corte Costituzionale ha confermato la validità in generale del sistema dello spoil system, ma, in altre sentenze, ne ha precisati i limiti:

Questa Corte ha più volte affermato l’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoil system  riferiti ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di compiti di gestione, cioè di funzioni amministrative di esecuzione dell'indirizzo politico …, ritenendo, di converso, costituzionalmente legittimo lo spoil system  quando riferito a posizioni apicali …  Del cui supporto l'organo di governo si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico amministrativo”. (11 aprile 2011, n. 124).

Nella sentenza 25 maggio 2010, n. 224 la Corte precisa che i dirigenti per cui si profila una incostituzionalità dei sistemi sono quelli: “… non apicali, ovvero titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l'ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell'organo che nomina.”

Secondo la Corte: “In tal caso (cioè dei dirigenti non apicali ndr) tali meccanismi si pongono in contrasto con l'art. 97 Cost. in quanto pregiudicano la continuità dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialità.”

Tre sono quindi i punti salienti che conducono alla incostituzionalità:

1, la mancanza di rilevanza del criterio di personale adesione del dirigente agli orientamenti politici del Ministro o Presidente;

2. la valorizzazione del principio di continuità amministrativa;

3. La conseguente parzialità dell’azione amministrativa.

In linea astratta e teorica le osservazioni della Corte sono condivisibili, ma non convince la loro applicazione nella fattispecie.

In sostanza lo spoil system sarebbe riservato a quelli incarichi “apicali” (Segretario Generali, Capi Dipartimento) i cui compiti esulano dalla gestione per impingere nella collaborazione alla determinazione degli indirizzi politici e di amministrazione. La Corte sembra, cioè, ipotizzare che le figure apicali siano sostanzialmente dei “coadiutori del Ministro” delle cui funzioni partecipano (così appunto la dottrina dell’ottocento definiva la figura del Segretario Generale appena introdotta). Ad essi quindi non è riservata una posizione di “indipendenza”, ma anzi è postulata una necessaria vicinanza ideologica e di visione con il Ministro.

Viceversa, una tale situazione non si riscontrerebbe negli altri dirigenti generali non SS.GG. né capi dipartimento.

In linea astratta l’immedesimazione di tali dirigenti in funzioni di stretta collaborazione con il Ministro alla determinazione degli indirizzi politici e di amministrazione è condivisibile. Sul punto dobbiamo però osservare che tale riconoscimento non scaturisce da alcuna norma espressa, ma solo dalla analisi fattuale delle funzioni loro assegnate e quindi dal rapporto che “di fatto” si instaura tra tali figure dirigenziali e la determinazione e realizzazione dell’indirizzo politico che la Corte ha giustamente qualificato tali, de facto.

Come si è dimostrato nel § 4, tale situazione si verifica nella realtà anche per i dirigenti generali non apicali, sicché le posizioni sono sostanzialmente equiparate, a questi fini.

Corretta, quindi, è la distinzione tra “coadiutori” e non coadiutori, ma non condivisibile la negazione della funzione “coadiutrice” anche ai dirigenti generali non apicali.

Quanto all’invocazione della continuità amministrativa, teoricamente condivisibile, si può osservare che essa non è posta a rischio dallo spoil system.

Il principio della continuità amministrativa afferisce alla necessità che non si verifichino interruzioni o sospensione nell’esercizio delle funzioni amministrative da parte della P. A. Lo spoil system non si concretizza in ciò, ma solo in un avvicendamento di personale amministrativo, sicché il richiamo alla continuità amministrativa non sembra confacente alla fattispecie.

Se poi si interpretasse la continuità come immutabilità dei modi e contenuti dell’azione amministrativa, ciò sarebbe in totale contraddizione con l’avvicendamento degli indirizzi politici voluti dal Parlamento.

Infine i dubbi sul venire meno della “imparzialit࣠dell’azione amministrativa non sono ben comprensibili.

L’art. 97, comma 1 della costituzione afferma che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell'amministrazione.”

L’espressione “imparzialità dell’amministrazione”, utilizza “amministrazione” come sostantivo deverbale, più esattamente come “nome di azione” e non come nome proprio. Ciò è lessicalmente evidente dal fatto che il “buon andamento” previsto nel medesimo comma è riferito anche esso al sostantivo “amministrazione” e poiché esprime un significato di movimento, esso non può che essere la qualificazione di un nome di azione, ma non certo di un nome proprio.

La norma quindi non prevede che l’Amministrazione (nome proprio) sia ontologicamente imparziale e che quindi debba essere indipendente, ma che “l’amministrazione” (nome di azione, cioè l’”amministrare”) debba avvenire in maniera imparziale. Tale imparzialità attiene al rapporto tra P. A. e amministrati, e si concretizza nel porsi nei confronti dei cittadini in maniera neutrale ed equidistante, svolgendo un'attività scevra da condizionamenti e favoritismi.

Lo spoil system non incide quindi sulla imparzialità della P. A., ma anzi la corrobora perché garantisce che il risultato politico sarà raggiunto in maniera identica per tutti gli amministrati alla luce dei parametri politici definitivamente accertati nell’indirizzo del Ministro, sulla base del programma sottoposto agli elettori.

Non vi è quindi neppure spazio per una qualche velleità di “indipendenza e autonomia” della Amministrazione, come da alcuni rivendicato.

La presunta indipendenza, quindi, sembra chiaramente risolversi esclusivamente nella imparzialità della azione rispetto ad interessi di parte estranei alla P. A., cioè privati. Certo non rispetto ad interessi pubblici, soprattutto se consacrati nell’indirizzo politico espresso dalla volontà popolare. Anzi, la P. A. è da considerarsi a tutti gli effetti “parte” sia pure pubblica (tanto che è sottoposta al giudice amministrativo, artt. 103 e 113 Cost.) e quindi, sia permessa l’espressione, “partigiana” a favore dell’interesse pubblico espresso dalla Politica per conto del popolo. Ne consegue che il burocrate lungi dal potere interpretare e attuare le norme in maniera “indipendente” dall’indirizzo politico, è tenuto ad uniformarsi ad esso e, pur nel rispetto delle norme, ad interpretarle ed attuarle secondo tale indirizzo.

Vi sarà poi un Giudice a Berlino.

In nessuna parte della Costituzione si garantisce la autonomia e indipendenza della P. A. cosa che è disposta espressamente solo per la magistratura come potere dello Stato: “Art. 104. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. E per i due organi di rilevanza costituzionale, Consiglio di Stato e Corte dei Conti (art. 100, co. 3.) Quindi non si comprende bene quale origine abbia questa presunta “autonomia e indipendenza” che fa assurgere la P. A. a quarto potere dello Stato.

Viceversa, sia la origine storica della P. A. nella esperienza occidentale, sia la sua attuale funzione su cui ci siamo prima dilungati, convergono verso la conclusione che essa. sia l’ancella dell’indirizzo politico e debba quindi necessariamente essere coerente con questo. La garanzia della democraticità del sistema sta proprio nel presupposto da cui lo spoil system discende, cioè il cambiamento della visione politica voluto dal popolo.

A tale proposito non sarà inutile ricordare che lo spoil system negli USA si affianca alla concomitante nomina elettiva di una pletora di figure amministrative che noi chiameremmo “dirigenziali intermedie”, dal che risulta una palingenesi quasi totale della P. A. statunitense al cambiamento del quadro politico statale o federale. Lo spoil system, ivi, completa quel cambiamento totale decretato dalle urne.

  1. Conclusioni

Possiamo giungere ad una prima conclusione. La distinzione tra poteri di indirizzo politico amministrativo e poteri di gestione sottopone il raggiungimento dell’obbiettivo politico e la sua attuazione concreta (che è ciò che interessa principalmente il cittadino elettore e che è l’oggetto del rapporto di agenzia Elettore/Politica) al condizionamento di potere autonomo della Burocrazia, determinando così il paradosso di una responsabilità politica del Ministro o Presidente priva di strumenti per incidere realmente sull’” amministrare” e del tutto in balia dell’azzardo morale del burocrate, in assenza sostanziale di strumenti conoscitivi e coercitivi.

Occorre prendere atto, però, che esiste una zona intermedia tra espressione dell’indirizzo politico e attuazione di esso che partecipa più del primo che della seconda, e che essa è affidata segnatamente alle figure dirigenziali generali, siano esso apicali o no.

In secondo luogo, proprio il rispetto dell’art. 97 della Costituzione, la cui lettura si è sopra fornita, imporrebbe una estensione dello spoil system a tutti gli incarichi dirigenziali generali (anche non apicali). Così come lo imporrebbe la realtà effettuale dei rapporti di forza all’interno della P. A. che trascendono chiaramente le costruzioni teoriche a tavolino proprie del razional costruttivismo.

E’ comunque necessario che si apra un dibattito sul punto, perché, all’evidenza secondo noi, le posizioni sostenute dalla Corte Costituzionale, che comunque costituiscono lo strumento di chiusura ultima dell’ordinamento giuridico, rischiano di risentire di una visione non più aggiornata della realtà politico amministrativa.

16 settembre 2022

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(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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