ALCUNE RIFLESSIONI SUL COMPLOTTISMO

ALCUNE RIFLESSIONI SUL COMPLOTTISMO

L’Italia è un Paese melodrammatico, nel bene (molto) e nel male (poco) che ciò significa.

Anche le discussioni su WA lo sono e oscillano sempre tra il bianco e il nero, senza vie di mezzo.

Qualcuno mi ha interpretato come complottista paranoico, qualcun altro sostiene la inevitabilità di determinate misure dinanzi al pericolo della pandemia.

Poiché penso di essermi espresso male cercherò di chiarirmi anche per contribuire alla definizione di un pensiero condiviso tra noi.

La realtà non è un film di James Bond, quindi non esistono una Spectre e un Blonfeld che si riuniscono intorno al tavolo per complottare su come impadronirsi del mondo. Non confondiamo il complottismo letterario o anche solo paranoico, con l’analisi seria degli scenari politici, che si fa applicando i principi e le regole (cioè le evenienze che si ripetono con regolarità) studiate da secoli.

Lo Stato comunitarista

Tutto però inizia da una premessa, vale a dire quale modello di Stato preferiamo.

Il modello che Popper definisce comunitarista, o il modello liberale.

Per sommi capì, e ai fini del nostro discorso, il primo è caratterizzato dalla soggettivizzazione dello Stato e degli interessi che da collettivi diventano soggettivi,  cioè imputati ad un'unica parte: lo Stato. Esso, quindi, li esercita e li difende allo stesso modo in cui un singolo cittadino difende i suoi, senza accettare, se può, compromessi e limitazioni. Vi è però una fondamentale differenza tra cittadino e Stato, e cioè quest’ultimo ha un potere monopolistico e autoritario proprio, attraverso il quale opera naturaliter per far prevalere gli interessi affidatigli. E ne ha tutti i mezzi anche coercitivi e violenti, non perché sia uno Stato dittatoriale, ma nell’esercizio di una funzione. Infatti, per definizione, lo Stato è “funzione” dell’interesse collettivo e perciò prevale sempre sul singolo che è contraente debole.

Da qui la contrapposta visione liberale dello Stato come male necessario e da controllare e limitare nei suoi poteri.

In questa visione, lo Stato è appunto in sé un male, perché contrasta con la Persona, incide sulla sua libertà che è un dono fondamentale, il primo che qualifica l’uomo intelligente, prima ancora di tutti gli altri, se è vero che “Libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.

Al contempo, però, esso e un male necessario e come tale sono i cittadini che lo devono sopportare ma anche controllare e non viceversa. Ed ancora, i poteri dello Stato devono essere ridotti al minimo indispensabile per garantire il libero dispiegarsi della persona umana e non per rincorrere un fantomatico interesse pubblico che nessuno è mai stato capace di definire, perché non è la collettività al centro delle istituzione e della politica e, ma la Persona, cioè ciascun essere umano considerato in sé nella sua ontologica essenza.

Ma soprattutto, e questo è il punto qualificante di tutta la discussione sin qui condotta sulle misure incostituzionali adottate a seguito della pandemia, è necessario che l’impianto garantista approntato dalle costituzioni sia sempre rispettato. La rottura del principio del rule of law (l’imperio della legge) diviene altrimenti the rule of power (l’imperio del potere) perché il potere si arroga il diritto di adottare misure incostituzionali appellandosi alla sua titolarità dell’interesse collettivo e sfruttando la sua posizione monopolistica.

Non è quindi per un principio astratto che i giuristi liberali difendono a spada tratta le prerogative costituzionali, ma per il concreto pericolo che l’eccezione invocata per la difesa di un interesse asseritamente collettivo, determini quella piccola falla nella diga che ne provoca puoi la rovina.

Lo Stato liberale

La seconda è la visione liberale che, sia detto per inciso, è quella scelta dalla nostra Costituzione agli articoli 2 e, soprattutto, 3, secondo comma che pone al centro della attività dello Stato: “… il pieno sviluppo della persona umana… 

Queste preoccupazioni vengono da lontano.  Il 7 maggio 1880 Silvio Spaventa (l’inventore, diciamo così, del Giudice Amministrativo come regolatore, appunto, del rapporto autorità/libertà) pronunciò dinanzi all’Associazione costituzionale di Bergamo un famoso discorso ove per la prima volta al mondo teorizzava la giustizia nell’amministrazione, e non la giustizia dell’amministrazione (quella per intenderci che l’Amministrazione concede graziosamente mediante i suoi rimedi interni: ricorso amministrativo etc.).

Cito questo passaggio fondamentale nella vita democratica dell’occidente perché oggi l’istituto del Giudice Amministrativo è la cartina di tornasole della deriva pericolosissima cui sopra accennavo.

In effetti, se anche non vi è un tavolo della Spectre, tuttavia lo Stato si incarna nei suoi uomini al Governo. Governare è molto difficile, perché gli interessi da ricondurre a sintesi sono moltissimi. Qualunque governante, quindi, è per sua stessa natura portato a scegliere scorciatoie che gli permettano di condurre in porto le proprie politiche e realizzare gli obbiettivi corrispondenti a quegli interessi collettivi di cui si è discorso, e al diavolo i lacciuoli della Costituzione! Non è necessariamente volontà prava o golpista, ma una naturale conseguenza del riconoscere a una parte del rapporto, lo Stato, un potere dominante sull’altra.

Ho citato il Giudice Amministrativo perché il rapporto tra questo e il Governo pro-tempore è paradigmatico. Esso è stato puntualmente nel mirino di tutti i Governo io ho conosciuto negli ultimi trenta anni, i quali hanno sempre invocato chi la riforma funditus del giudice amministrativo per tagliargli le unghie (soprattutto per il potere di sospendere l’atto amministrativo), chi addirittura (Renzi!) la abolizione di questo organo che si permette di giudicare il Governo e costituire intralcio al buon governare.

In sostanza, tutti i governi sono intimamente golpisti, se la vogliamo vedere in termini pessimistici, oppure, più ragionevolmente, l’uomo è debole e soggetto a tentazioni, e Oscar Wilde diceva. “A tutto so resistere, fuorché alle tentazioni.”

Qualunque Governo vuole i “pieni poteri” ed opera per averli, ed ha anche i mezzi per raggiungerli, se noi non vigiliamo. L’equilibrio è dato appunto dal Giudice Amministrativo, dalla libera stampa investigativa, da una Corte Costituzionale realmente indipendente, dall’etica politica dei singoli governanti, da un Capo dello Stato tutore della costituzione e non partigiano, da un sistema di partito realmente democratico disciplinato in costituzione, da una P. A. educata ed avvezza al rispetto delle norme, da consiglieri del principe autonomi e indipendenti non soggetti a carriera etc. etc. in una parola dal check and balance dei poteri reali voluto e controllato dalla Costituzione e dal suo garante.

Il Governo Conte 2

E’ accaduto tutto ciò nel Governo Conte 2? No, in assoluto. Ciò vuol dire che Conte è un golpista? No, non credo che lo sia personalmente, semplicemente ha fatto strame della Costituzione per raggiungere i suoi (commendevoli nessuno lo discute) risultati, ma ha utilizzato sistemi fuori della costituzione e la incapacità del sistema delle garanzie di contrastarlo ha determinato quella assuefazione che scontiamo ancora oggi.

In molto, infatti, il Governo Draghi si distingue dal Governo Conte 2. Si veda il cambio al Commissariato straordinario alla protezione civile, al CTS (finalmente!), ma non sono cambiati gli strumenti giuridici, i famosi e mai abbastanza vituperati DPCM. Perché Draghi è un golpista? No, ovviamente, ma perché è più comodo e semplice che un decreto legge, perché è immediato, perché puoi cambiarlo quando vuoi, perché il Governo Conte ha fatto da apri strada, si è preso quelle solenni critiche che oggi non ripetiamo per stanchezza, oltre che perché molti ben pensanti, alla fin fine, sotto l’emozione irrazionale della pandemia, hanno cominciato ad amare il grande fratello. Si sono stancati di sentirsi ripetere che la Costituzione è calpestata e non prestano più attenzione a chi considerano una Cassandra inutile e petulante, purché usciamo dalla pandemia, come quando ci fa male un dente e, dopo inutili tentativi, ci si decide per disperazione a cavarlo.

 

La normalità della violazione costituzionale

 

What ever it takes. Conte ha assuefatto gli italiani (ecco la rana bollita che purtroppo è tale) e, quel che è peggio, gli organi di controllo, Capo dello Stato in testa, alla normalità della violazione costituzionale. Ciò è tanto vero anche nella opinione pubblica, spaventata, che oggi addirittura fa notizia quel giudice che ha disapplicato il DPCM perché illegittimo. Questa enfasi giornalistica che è rimbalzata anche sulla chat, è simbolo della dissoluzione dello Stato di diritto: ci si meraviglia che qualcuno abbia difeso la normalità delle regole costituzionali, tanto la loro violazione è divenuta normale. Le parti si sono invertite. Non è questa una democrazia sconquassata? Cosa vogliamo vedere per definirla tale, gli arresti e le carcerazioni dei dissidenti e i carri armati sulle strade? Non sono più i tempi, la democrazia si uccide con internet e con i DPCM, anche se in perfetta buona fede (mi auguro)

Ma la pandemia, direte? I morti? In fondo è secoli che le pandemie si combattono con l’isolamento delle persone.

Appunto sono secoli che si è combattuto così perché solo oggi la tecnologia permette di adottare misure diverse.

Qualcuno si chiede consa si sarebbe potuto fare se non costringere a casa i cittadini.

Invito a leggere sul numero 3 della rivista un articolo dal titolo “Attrezzarsi per la resilienza del sistema Paese” e oggi sul sito un altro dello stesso argomento. In essi si illustrano le misure proattive che Lettera 150 ha chiesto da tempo al Governo e soprattutto il cambio di paradigma richiesto.

In breve in quei documenti si dice che il Governo Conte prima e quello Draghi poi hanno completamente sbagliato nel definire l’obbiettivo strategico principale, in attuazione del quale progettare gli obbiettivi operativi.

Allo stato tale obbiettivo è impedire o diminuire i contatti sociali tramite i lock down, mentre il corretto obbiettivo strategico fondamentale deve essere impedire o diminuire la trasmissione del virus. E non sono la stessa cosa.

Nei documenti citati e negli studi di eminenti esperti di questa chat pure pubblicati sulla rivista o sul sito, è dimostrato come si dovrebbero assumere misure proattive direttamente finalizzate a combattere la trasmissione, a prescindere dal contatto sociale.

Per brevità rimando agli scritti citati.

Rimanendo sul tema di questo mio intervento, concludo osservando che è banale liquidare queste analisi politiche come stupido complottismo come è sinceramente incomprensibile accettare masochisticamente politiche repressive quando esisterebbero misure alternative rispettose delle nostre libertà. La inaccettabilità di questa politica governativa risiede esattamente nella considerazione che il Governo ha scelto non di fare esso qualcosa, ma di addossare ai cittadini tutti gli oneri dell’unica misura adottata (il lock down) e per di più li addita come i veri responsabili della pandemia a causa della loro riottosità alle cervellotiche norme.

E sia chiaro che il rischio alla vita minacciato da una pandemia, non è maggiore del rischio alla vita minacciato da una depressione economica della portata di quella che ci aspetta se continueremo nei lock down a gogo. Si muore di virus ma anche di fame.

Parole

Comunitarista, liberale, costituzione, Persona, violazione costituzionale

TAG

Stato liberale, stato comunitarista, golpe, Conte 2

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“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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