GOVERNO MELONI - CONSERVATORISMO E IDENTITA'

Dopo molti anni di vera o presunta emergenza anche costituzionale il nostro Paese è retto da un Governo finalmente espressione del voto popolare.

La composizione della squadra di governo e la nuova articolazione ministeriale disegnano un esecutivo fortemente identitario oltre che molto equilibrato nella sua composizione.

I ministeri sono 24, di cui 15 con portafoglio (cioè con dotazione di bilancio ai fini della spesa pubblica) e 9 senza portafoglio.

I ministri sono 15 di estrazione politica e 9 tecnici esterni, tuti di comprovata e notoria competenza nella materia di riferimento.

I ministri donne sono 6, oltre al Presidente Con grande scorno storico per la sinistra, poiché ad onta di tutte le sue roboanti dichiarazioni, alla fin fine, il primo ministro donna della storia d’Italia lo ha espresso un Governo c.d. di destra.

Destra e sinistra?

Lo definisco di “così detta” destra perché la prima riflessione da compiere credo sia quella di criticare e abbandonare questa distinzione tra sinistra e destra, utilizzata ormai pretestuosamente.

Avendo vinto la così detta “guerra delle parole” ed avendo acquisito una sostanziale leadership operativa nella comunicazione e nella formazione, la sinistra ha utilizzato il consueto strumento disinformativo e fuorviante consistente nell’impadronirsi di sostantivi e aggettivi, nell’attribuire loro strumentalmente un significato funzionale alla propria politica e imponendolo nell’uso comune. Ovviamente utilizzando termini “addomesticati” di valore negativo, immorale, e, nella inevitabile conclusione, “fascista”, se riferiti agli avversari, mentre se riferiti a se stessi, di valore eccelso, eticamente e politicamente corretto.

Dopo il tragico XIX secolo caratterizzato dalla nascita dei regimi totalitari marxista e nazifascista, cambia il paradigma nella analisi della realtà filosofica e politica moderna e queste etichette non sono più in grado di descrivere questa realtà del mondo, o almeno di quello occidentale.

Non più sinistra e destra, quindi, individuando nella prima una filosofia e una politica altruiste, progressiste, dedite al bene comune in contrapposizione alla seconda considerata, individualista, quindi egoista, incapace di devozione per qualsiasi cosa all’infuori del proprio benessere, dimentica cioè del bene comune.

Una tale pretestuosa visione permette l’identificazione dell’individualismo con l’egoismo, il che è totalmente falso. Infatti l’individualismo incide sul piano del rapporto tra la persona umana e l’entità collettiva cui appartiene o in cui vive, mentre l’egoismo si pone sul piano del rapporto di amore tra le persone. Due piani distinti e non necessariamente intersecantisi.

Anzi, come sostiene Popper (“La società aperta e i suoi nemici, Londra 1945), l’individualismo è stato ed è l’avvio e il motore di una società giusta e democratica.

Il nuovo paradigma, quindi, si ravvisa nella contrapposizione tra le filosofie e politiche collettivista e individualista, più correttamente liberale che sulla predominanza della persona umana, cioè dell’individuo, basa tutta la sua costruzione.

Collettivismo e individualismo liberale

E’ Norberto Bobbio che ci fornisce una prima chiave di lettura della situazione. Seguendo il suo pensiero (N. Bobbio: “Destra e sinistra”, Donzelli, 1994) emerge che nella realtà si registri una sostanziale omologazione dei movimenti di pensiero e dei partiti ascritti sin qui per semplicità alla dx. o alla sx.. Il vero discrimen individuato in quel fondamentale saggio è la concezione della libertà. Il pensiero di sx. iscrive la libertà in un sistema collettivista, egalitario, che oblitera o deprime le diversità, considerandole per se stesse sempre dannose e quindi da ricondurre ad un massimo comune denominatore deciso dallo Stato. In tal modo esso deprime la valenza progressista della diversità, del confronto e del merito. In altri termini, nel collettivismo, l’uguaglianza è intesa in senso assoluto, e in questo indistinto egalitarismo le differenze, per natura esistenti tra le persone, sono immerse e confuse in una unica notte scura nella quale, per parafrasare Hegel, “tutte le vacche sono nere”. Nella realtà, le differenze tra le persone esistono, per fortuna, e negare questo assunto vuol dire rendere tutti indifferenziati, negare loro la identità di persona autonoma.

Per gestire l’indifferenziazione egalitaria il pensiero collettivista non ha altro modo che sublimare la persona e la sua libertà nella collettività organizzata, cioè nello Stato totalitario. Gli obbiettivi, i desideri, i bisogni, le aspirazioni, i Valori non appartengono alla Persona ma alla Collettività, cioè allo Stato che, come realizzazione storica dello spirito del Popolo, pretende di avocare la costruzione di una società definendo esso stesso gli obbiettivi valevoli per tutte le singole persone e regolandone le aspirazioni, i pensieri, le credenze, i comportamenti. Se tutti siamo uguali nel senso egalitario, è gioco forza che abbiamo tutti gli stessi desideri, aspirazioni, obbiettivi che lo Stato si premura di individuare, farceli conoscere e imporre anche a coloro che, per avventura, non li condividessero.

Una differenza tra marxismo (c.d. sinistra) e nazifascismo (c.d. destra), nell’ottica sin qui analizzata, non esiste, come per altro ha riconosciuto anche il Parlamento dell’UE con la risoluzione del 19 settembre 2019 che ha sostanzialmente equiparato, sul piano storico e filosofico, il comunismo ed il nazismo quali analoghi modelli di totalitarismo. Essi si distinguono solo nei mezzi e negli strumenti per realizzare la comune ideologia collettivista.

La vera profonda divisione consiste quindi, come Bobbio insegna, nel diverso modo di intendere la libertà, nell’un caso come attributo proprio dell’individuo, e stimolo di emancipazione e di progresso, nell’altro come prerogativa della collettività che la dispensa ai singoli secondo una pianificazione razional costruttivista della società.

La disumanità del pensiero collettivista risulta evidente sia in punto teorico sia nella prassi, atteso che il sacrificio delle posizioni dei singoli a favore della Collettività è strumento usuale dei regimi a ciò ispirati privi di qualsiasi considerazione per la Persona umana ad onta di roboanti dichiarazioni di principio nei fatti disattese.

Conservatorismo

Nel nostro caso, però, non ci è sufficiente dichiararci liberali. Tra i diversi filoni culturali del liberalismo, quello conservatore appare come il più proficuo e provvido di risultati.

Purtroppo, anche in questo caso la guerra delle parole è stata vita dalla parte collettivista, per cui il termine “conservatore” è oggi contrabbandato come sinonimo di passatista, codino, reazionario, immobilista.

A tal proposito gioverà una rapida lettura delle definizioni di “conservatorismo” sulla enciclopedia Treccani e su Wikipedia che, pur non essendo, almeno quest’ultima, una fonte scientificamente eccelsa, danno però il polso della comune cultura della fascia media e medio alta della popolazione, soprattutto per livello di istruzione e formazione.

Orbene, sia il vocabolario, sia il Dizionario di Storia della Treccani definiscono il conservatorismo, come una corrente di pensiero che intende avversare o ritardare il progresso e l’evoluzione di idee, forme e istituti politici e sociali, opponendosi a qualunque ideologia progressista, mirando a conservare le strutture sociali e politiche tradizionali e difendendo l’ordinamento politico-sociale tradizionale dagli impulsi innovatori.

Dal canto suo Wikipedia descrive il conservatorismo come una ideologia che diffida dai mutamenti e sostiene l’opportunità di preservare un determinato stato istituzionale, religioso, sociale, avversando o ritardando il progresso di idee, forme e istituti politici e sociali.

Solo per spiegare il meccanismo psicologico della disinformatia, brevemente richiamiamo i contenuti e il significato del sostantivo “progresso” sempre secondo Treccani e Wikipedia. Il progresso è in sostanza un avanzamento in senso verticale, verso gradi o stadi superiori dell’evoluzione, di una trasformazione graduale e continua dal bene al meglio, con implicito quindi il concetto del perfezionamento. In senso assoluto esso è lo sviluppo verso forme di vita più elevate e più complesse, perseguito attraverso l’avanzamento della cultura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, dell’organizzazione sociale, il raggiungimento delle libertà politiche e del benessere economico, al fine di procurare all’umanità un miglioramento generale del tenore di vita e un grado maggiore di liberazione dai disagi.

Se quindi il “progresso” è questo meraviglioso e desiderabile risultato dell’azione umana, i conservatori, che fieramente ad esso si oppongono, sono orridi individui, poco meno che criminali, odiosi negatori dei diritti civili, oppositori degli sviluppi culturali e scientifici e tecnologici, contrari alle libertà politiche e propensi a negare il benessere economico della società, rifiutandosi di procurare all’umanità il miglioramento del tenore di vita e la liberazione dai disagi.

Conservatori e progressisti

Ovviamente la realtà è del tutto diversa.

Pur rifiutando una pianificazione razionale costruttivista della società come preteso dai collettivisti, si deve considerare che qualsiasi realtà sociale si costituisce e vive avendo un modello di riferimento, sia derivante da una visione religiosa della vita, e quindi dalla adesione ad un messaggio divino, sia dalla elaborazione laica di Principi e Valori che, nella esperienza storica della società di riferimento, abbiano creato una cultura dominante, un nucleo forte di guida dei comportamenti che si dipana nel tempo mantenendo così l’unicità della stessa società e la sua identità nel tempo.

Valori Principi e conseguenti comportamenti nei quali dobbiamo distinguere quelli eticamente fondanti la società, e i modi di attuazione.

Ai primi va riconosciuto quel valore immutabile di cui si è discorso, ai secondi l’attributo della mutevolezza e dell’adeguamento ai cambiamenti della società, soprattutto sotto l’incalzare delle innovazioni tecnologiche che mutano costantemente il paradigma di riferimento. Proprio per affrontare questi cambiamenti vale solo l’adesione ai Valori e Principi fondanti la stessa società, pena l’avanzare di un relativismo devastante, simile ad un far west privo di regole.

La conservazione dei Valori e dei Principi fondamentali è quindi precondizione e stimolo allo stesso progresso. Per cui il pensiero conservatore, (e ciò suona spesso come paradosso alle pretestuose o semplicemente ignoranti orecchie dei così detti progressisti) è per sua natura progressista. Esso postula un adeguamento degli strumenti di attuazione di quei Principi e Valori che desume dalla identità storica passata della società. Non è passatista, codino, reazionario, immobilista, ma anzi innovatore e progressista, secondo una visione del progresso ispirata alla continuità culturale, etica, morale nella società.

In questo modo, il Conservatorismo introduce e stimola nella società un profondissimo senso identitario nazionale.

Perché dunque questo nuovo Governo è fortemente identitario e di quale identità stiamo ragionando?

L’identità è quella della nostra cultura giudaico cristiana e greco romana, affinata attraverso una storia millenaria che si è assestata su Principi e Valori incentrati sulla Persona e non sulla collettività personalizzata.

E’ l’identità della Nazione fondata sulla sovranità del popolo (art. 1 della Costituzione) che la esprime secondo le regole costituzionali e gli strumenti comuni dati dalla riunione di più volontà singole, ma non collettivi imputabili ad una volontà unica.

Il Governo Meloni

Gli atti immediati del Governo hanno sottolineato questa carica identitaria, nella loro semplicità.

Mi riferisco alla nuova specificazione delle competenze di alcuni ministeri.

Al Ministero della istruzione è stata aggiunta la specificazione “e del merito”, recuperando questo Valore proprio della nostra identità. Come non ricordare la fioritura di Università sin dal 1088 con la fondazione dell’Università di Bologna e la figura di Irnerio, la cui missione era esattamente quella di diffondere la conoscenza, la ricerca e la cultura, selezionando i migliori e più dotati. La forte valenza progressista di una tale predisposizione è intuitiva, dato che la valorizzazione dei talenti personali e dell’attenzione ai migliori è essa stessa garanzia di quella elevazione della vita sociale di cui si è discorso, compito che si definisce appuntgo “meritorio”.

Il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali recupera la tradizionale definizione di Ministero dell’agricoltura, cui aggiunge la specificazione “e della sovranità alimentare”.

Il recupero della definizione “dell’agricoltura” segna il ritorno ad una visione olistica del fenomeno agricolo nella consapevolezza che la competenza regionale deve agire all’interno di un quadro di riferimento politico unitario, al fine di affrontare le emergenze climatiche, politiche e della globalizzazione.

L’uso del termine “sovranità” ha subito alimentato sciocche polemiche, frutto evidente di pretestuosi pregiudizi e di profonda ignoranza.

Il concetto di sovranità alimentare, infatti, non si riferisce a forme di nazionalismo o autarchia. Esso è stato elaborato nel 1996 alla conferenza di Conferenza internazionale svoltasi a Taccala, in Messico, in contrapposizione al modello neo-liberale del processo di globalizzazione delle imprese. E’ definito nella dichiarazione di Nyéléni, conclusiva del primo Forum internazionale sulla sovranità alimentare tenutosi in quella città del Mali, come. “Il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologicamente corretti e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli. Mette coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro dei sistemi e delle politiche alimentari piuttosto che le richieste dei mercati e delle aziende.”

In una prospettiva conservatrice il concetto di sovranità alimentare si basa proprio sul recupero dei fattori e valori culturali alimentari che costituiscono fattore antropologico rilevantissimo nella cultura di una nazione e che ne determinano l’identità. Solo una profonda ignoranza può far confondere tale innovativo concetto con l’autarchia, che è invece una politica collettivista e totalitaria che impone la esclusione dal mercato e dalla società della libera importazioni di prodotti esteri.

Il ministero senza portafoglio denominato “Per le politiche della famiglia della natalità e delle pari opportunità” è di nuova re-istituzione (nel Governo Draghi esso era solo un Dipartimento della Presidenza le Consiglio affidato alle cure del Ministro per le Pari Opportunità). La subordinazione alle pari opportunità, oltre che del tutto incomprensibile, privava di importanza la questione della necessità di specifiche politiche familiari, abbracciando una visione miope e limitata del problema famiglia, vale a dire esclusivamente quella di non penalizzare le madri dedite al mestiere di mamma, garantendo loro identico trattamento in ambito lavorativo e sociale.

La rinascita di un ministero autonomo è segnale forte del recupero del Valore fondamentale della Famiglia nella nostra cultura e identità. Soprattutto se si considera la specificazione dell’interezza del nome: “Ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità”. Ciò segna una radicale rivoluzione nelle priorità dell’esecutivo che pone in primo piano delle politiche specifiche per la famiglia e soprattutto per la natalità.

Non serve ricordare il grave problema del calo demografico, ma ciò che è importante ai fini di una rinnovata cultura familiare, è il richiamo e la consacrazione in un Ministero, e dunque come esplicito programma di governo, di un Valore veramente fondante la nostra società: la centralità dei figli nell’ambito della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.).

La presenza dei cattolici

Per ultima, una notazione sulle persone.

Il livello dei ministri scelti dal Presidente del Consiglio è assai elevato, e si farebbe un torto a parlare di uno piuttosto che un altro.

Tuttavia giova segnalare tra i tecnici, e la circostanza non è priva di significato, due novità.

Il primo è la scelta come Ministro per la famiglia di una esponente convintamente e dichiaratamente cattolica, portatrice battagliera dei Valori Cristiani in una società pur laica. Essere cristiani nel mondo è la sua sfida.

Il secondo riguarda un’altra figura chiave del Governo, spesso ignorata dalla opinione pubblica ignara dei meccanismi istituzionali. Intendo riferirmi al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Segretario del Consiglio dei Ministri. La scelta è caduta su una figura esemplare di cattolico impegnato, magistrato, presidente tra l’altro del Centro Studi Livatino, benemerita organizzazione intitolata al martire della Giustizia Rosario Livatino, trucidato dalla mafia.

Gli sviluppi di un esecutivo saldamente legato ai Valori e Principi tradizionali e quindi fortemente identitario avrà sicuramente interessanti sviluppi, soprattutto nelle relazioni internazionali e nel contributo dell’Italia alla definizione delle politiche della UE.

 

24 ottobre 2022

Tag: collettivista, progressista, conservatore, liberalismo, Governo, Meloni

Image
“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
© 2022  All Rights Reserved.  Design & Developed by DS
Save
Cookies user preferences
We use cookies to ensure you to get the best experience on our website. If you decline the use of cookies, this website may not function as expected.
Accept all
Decline all
Read more
Functional
Tools used to give you more features when navigating on the website, this can include social sharing.
Joomla! Engagebox
Accept
Decline
Unknown
Unknown
Accept
Decline