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L'OCCASIONE FA L'UOMO LADRO - 26-03-2020
2020, IL DUBBIO

L'OCCASIONE FA L'UOMO LADRO - 26-03-2020

Pubblicato su Il dubbio il 26 marzo 2020

"Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem." (Publilio Sirio, I sec. a.c.).

La citazione illustra il così detto principio di necessità, un principio generale dell’ordinamento giuridico, sin dai tempi del diritto romano, per il quale si giustifica l’adozione di misure straordinarie da parte delle autorità, in situazioni di necessità.

Quindi giustifica anche le ordinanze di protezione civile o quelle sanitarie che, di fatto, sospendono libertà e diritti costituzionali, come quello di libera circolazione.

In termini giuridici si chiamano ordinanze contingibili e urgenti e sono emanate dal potere esecutivo, cioè a seconda i casi dal Governo, da Ministri, da presidenti di Regione o sindaci, ed hanno come presupposto l’insorgere di un così detta contingenza, cioè una situazione in cui più avvenimenti insieme determinano improvvisamente un evento al di fuori dell’ordine naturale e comune, che devia dalla catena regolare e regolata degli avvenimenti e richiede un rimedio eccezionale ed urgente. La contingibilità, infatti, si accompagna alla urgenza, cioè alla sveltezza nel provvedere, giacché il tempo gioca a sfavore.

Le ordinanze contingibili e urgenti sono sempre strumenti eccezionali.

In primo luogo per il soggetto e la procedura con cui sono adottate. Infatti, non sono leggi, ma atti amministrativi emanati dal Governo. Esse sono manifestazione di un potere amministrativo il quale, mediante deroghe, sospensioni eccezioni etc., introduce nell’ordinamento nuove norme giuridiche che prevalgono su quelle legislative, cioè contenute nelle leggi votate dal Parlamento, il che in condizioni normali non è permesso.

In secondo luogo perché con queste ordinanze il potere esecutivo invade campi che non gli sono propri, o perché attinenti alle libertà assolute dei cittadini, o perché rientranti nella competenza esclusiva del potere legislativo.

Tra le cautele da adottare vi è quindi che le ordinanze devono avere sempre una durata temporanea. Ciò significa non solo che è necessario apporre una scadenza temporale al potere di ordinanza, ma anche che esso deve durare lo stretto indispensabile per tamponare la situazione ed inoltre che le loro conseguenze negative non devono permanere dopo la scadenza del termine. In particolare quindi che le situazioni precedenti devono essere ripristinate ove possibile (ad es. restituendo un bene requisito) o indennizzando il cittadino per i danni causati dalle ordinanze stesse (ad es. in caso di divieto di esercitare l’attività lavorativa o di impresa). Quindi il Governo deve operarsi alacremente perché nel più breve tempo possibile lo strumento e la procedura straordinari (ordinanza) siano sostituiti dallo strumento e dalla procedura ordinari, cioè la legge approvata dal Parlamento.

In base a questi principi, più volte la Corte Costituzionale, ha esaminato la costituzionalità del sistema delle ordinanze contingibili e urgenti, e ne ha sancito la legittimità ad alcune condizioni:

  • Il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti deve essere espressamente conferito da una norma di legge;
  • In ogni caso questa stessa legge non può attribuire il potere di deroga in materie coperte da riserva di legge assoluta e, in caso di riserva relativa, deve fissare principi e criteri direttivi cui il Governo si deve attenere.
  • Le deroghe non devono riguardare norme di rango costituzionale;
  • Le deroghe non devono contrastare con i principi generali dell'ordinamento giuridico;
  • Le deroghe devono durare per un tempo determinato o determinabile;

Solo per comodità, ricordo che la riserva di legge è un meccanismo previsto dalla Costituzione a protezione di determinate materie, diritti e libertà considerati preminenti. Esso è di due tipi:

  • Riserva assoluta, quando quelle materie, diritti, libertà possono essere regolati esclusivamente e direttamente dalla legge adottata dal Parlamento. Non è quindi possibile che il potere esecutivo regoli queste situazioni con regolamenti, ordinanze, provvedimenti amministrativi etc. Es. l'art. 13.2 Cost. che ammette restrizioni della libertà personale “nei soli casi e modi previsti dalla legge,
  • Riserva relativa, quando alcune materie, diritti, libertà possono essere regolate anche attraverso norme amministrative, ma solo in base alla legge ove cioè la legge stabilisca prima principi e direttive. Ad es. l’art. 23 Cost. sulle prestazione personali o patrimoniali imposte “in base alla legge”, l’art. 16 Cost. sulla libertà di movimento che può essere limitata solo per motivi di salute pubblica.

Nella attuale situazione di emergenza nazionale per il Covid-19, è stato fatto uso abbondante delle ordinanze contingibili e urgenti previste sia dal testo unico delle leggi sanitarie (l. n. 833 del 1978) sia dal codice della protezione civile (decreto legislativo n. 1 del 2018), sia dal d.l. n. 6 del 2020 emanato proprio per questa emergenza.

I divieti e gli obblighi concretamente previsti in queste ordinanze, secondo gli scienziati, sono necessari e sufficienti per fermare la pandemia. Il contenuto di essi quindi non è in questo momento in discussione.

Ma la domanda che ci dobbiamo porre è se il principio di necessità possa stravolgere del tutto il nostro sistema costituzionale e ci spinga a chiudere gli occhi su una situazione al limite della legalità costituzionale, nella quale ormai al potere esecutivo tutto è permesso senza alcun controllo parlamentare.

La paura, specie i primi giorni, ha avuto il sopravvento e ci ha fatto accettare con rassegnazione misure che tutti sentivamo come imposizioni. Adesso, però, che l’onda emotiva si è smorzata, riflettiamo con calma e spassionatamente sulla situazione. Non per rifiutare le limitazioni, ma per riportare il sistema alla legalità costituzionale.

Credo sia giunto il momento di riconoscere con serenità e senza polemiche che le ordinanze sia sanitarie sia di protezione civile fin qui assunte sono in contrasto con le condizioni sottolineate dalla Corte Costituzionale e che sono un pericolo per la democrazia futura.

E, infatti:

  • Sono state emanate in materie ove vige una riserva costituzionale assoluta di legge;
  • Sono state emanate anche in materie ove vige una riserva relativa di legge senza che la legge abbia previamente stabilito principi e direttive;
  • La deliberazione di emergenza non contiene limiti e modalità per le deroghe che saranno poi contenute nelle ordinanze di protezione civile, così come previsto dall’art. 25 del codice della protezione civile;
  • Le ordinanze non contengono la indicazione delle principali norme a cui si intende derogare, obbligatoria ai sensi dell’art. 25 citato
  • Il Governo non si è attivato immediatamente per sostituire lo strumento normativo eccezionale delle ordinanze, con strumenti ordinari di legislazione primaria, in particolare con decreti legge e conseguente coinvolgimento del Parlamento.

In particolare, quanto alle riserve di legge, le limitazioni alla circolazione e le altre misure violano diritti costituzionali fondamentali tutelati da riserva assoluta prevista dagli articoli:

  • 15, libertà e inviolabilità della corrispondenza, con riferimento al controllo dei e tramite i telefonini;
  • 17, libertà di riunione, con riferimento al divieto dei così detti assembramenti, cioè riunione di più di due persone;
  • 19, libertà di esercizio del culto, con riferimento al divieto di cerimonie religiose.
  • 41, libertà di impresa.

E da riserva relativa prevista dagli articoli:

  • 14, per accertamenti e ispezioni, con riferimento agli interrogatori sulla provenienza e destinazione della propria circolazione;
  • 16, libertà di circolazione e soggiorno;
  • 23, divieto di imposizione di prestazioni personali, con riferimento ai comportamenti obbligatori e al rispetto delle condizioni di circolazione e di autodeterminazione del proprio domicilio.

Quanto alla temporaneità, è mancata qualsiasi iniziativa per ricondurre il sistema normativo alla normalità costituzionale.

A questo punto ci dobbiamo chiedere: come conciliare il rispetto della Costituzione e della legge con la tutela della salute che necessita del distanziamento sociale?

La risposta drammatica è che, allo stato dell’arte, ciò non è possibile perché il Governo ha determinato una condizione di rottura costituzionale e democratica.

Pur accettando il principio “di necessità”, dobbiamo rifiutare come perniciosa una sua estensione che lo trasformi da eccezione in regola, sia pure camuffata introducendo così quello che si chiama “lo Stato di eccezione”.

Stiamo, infatti, assistendo alla saga della così detta democrazia autoritaria, ossimoro che nasconde nuove forme di totalitarismo. Ciò appare evidente solo che consideriamo i fatti.

Si è indotta una estrema confusione delle fonti utilizzate, e dei conseguenti poteri esercitati, che è l’anticamera della anarchia e prepara un intervento autoritario. Infatti, si sono succedute: deliberazioni del Consiglio dei Ministri, ordinanze di protezione civile del Capo della PC, pseudo ordinanze di protezione civile emanate con DPCM, ordinanze dei presidenti delle regioni o dei sindaci, decreti legge, decreti del ministro della salute, decreti del Ministro dell’Interno.

Quest’ultimo coinvolgimento del Ministro dell’Interno è poi un ulteriore elemento che desta gravi perplessità, richiamando alla nostra memoria decreti dei ministri, talvolta chiamati “di polizia”, in altri tempi oscuri o in altri Paesi totalitari.

La legge 1 aprile 1981, n. 121, richiamata nel decreto quale fonte del potere di ordinanza, viceversa non contempla alcun potere generale del Ministro dell’Interno di emanare ordinanze contingibili e urgenti aventi valore sull’intero territorio nazionale per la tutela dell’ordine pubblico.

Quando i ministri dell’interno iniziano ad emanare provvedimenti di sospensione dei diritti costituzionali aventi valore sull’intero territorio nazionale, la democrazia scricchiola orrendamente.

 Questa anarchia delle fonti ha creato contrasti tra istituzioni e grandissime incertezze non solo tra i cittadini, ma anche tra gli operatori (forze dell’ordine, sindaci etc.). L’esempio più eclatante si è avuto in particolare nel contrasto tra il DPCM 22 marzo 2020 e l’ordinanza del Presidente della Regione Lombardia del 21 marzo 2020 circa la chiusura degli studi professionali. La confusione istituzionale è giunta al punto che il Presidente della Lombardia si è risolto di chiedere un parere al ministro dell’interno su quale dei due provvedimenti prevalesse sull’altro!

Ciascun presidente di regione, lancia in resta, si è avventurato in ordinanze, incidendo in materie del tutto estranee alla competenza regionale che, quanto ad ordinanze d’urgenza, è limitata alla materia salute. Con il pretesto della salute pubblica e dell’invocazione della contingibilità e urgenza, i Presidenti pretendono di disciplinare situazioni giuridiche di diritto privato o amministrativo solo perché si ipotizza un labile legame di causa effetto con eventuali conseguenze circa la diffusione del virus e quindi la salute.

 

E’ chiaro che un Governo che non è in grado di porre rimedio a tale caos ha del tutto perso il polso della situazione. La situazione istituzionale è fuori controllo e dunque non si è in grado di garantire la legittimità costituzionale del sistema.

 A parte ogni considerazione giuridica, due sono le conseguenze assai gravi di questa situazione, sotto un profilo di corretta cultura costituzionale e di etica politica.

La prima conseguenza è che la violazione patente della sostanza e delle procedure costituzionali ha scatenato una rincorsa all’accaparramento del potere.

Perfino l’AGCOM cerca di conquistare spazi e, con un semplice comunicato stampa, pretende di avvertire che assumerà iniziative repressive della libertà di opinione e di stampa nei confronti di chi, sui media, trasmette “notizie false o non corrette non provenienti da soggetti scientificamente accreditati.” Come se non esistesse e non bastasse già il reato di cui all’art. 656 c.p., diffusione di notizie false esagerate o tendenziose e come se spettasse all’AGECOM stabilire la verità di una notizia e, soprattutto, l’accreditamento scientifico di chi esprime una opinione.

E’ evidente che, in una situazione in cui il Governo è impegnato principalmente a curare la propria immagine, nell’attesa di carriere fulgide e portentose, l’insipienza nella gestione istituzionale della contingenza ha creato un sostanziale vuoto di autorevolezza. Il Governo ha mostrato di essere permeabile agli attacchi di altri soggetti costituzionali e quindi di non gestire realmente la cosa pubblica almeno sotto il profilo istituzionale.

Di fatto, poiché la politica soffre l’horror vacui, è iniziata la corsa a riempie il vuoto di autorevolezza da parte di centri di potere pubblico (i singoli ministri, le Regioni, i comuni, le autorità indipendenti etc.), che sgomitano tra loro in questo marasma anarchico, nella speranza di incassare alla fine dei giochi, sostanziosi aumenti del proprio potere amministrativo e burocratico.

La noncuranza con cui il Governo ha trattato la questione del rispetto delle procedure costituzionali, ci sta conducendo sull’orlo di una repubblica di Pulcinella, di un esercito di Franceschiello.

Siamo vittime di atteggiamenti protagonistici, demagogici o vanesi. Dobbiamo sopportare la sostituzione della Gazzetta Ufficiale con whatsApp notturni; la ridda di ordinanze con un effetto accumulo di norme che mette a dura prova la semplice comprensione letterale di esse; servizi televisivi sulla firma dell’ultimo fondamentale DPCM in stile “posa prima pietra” o “campagna del grano”; conferenze stampa notturne nel vuoto pneumatico della stampa. Nel frattempo sul web si riconcorrono disperati messaggi di coloro che le ordinanze dovrebbero applicarle, ma che nulla sanno di esse e si scambiano bozze rubate.

Qualcuno ha dimenticato che l’Italia è una democrazia rappresentativa parlamentare, nella quale la sovranità appartiene al popolo che la esercita, appunto, non attraverso il Governo o i Prefetti o i Presidenti di regione, o l’AGCOM, che per sé non sono dotati di sovranità nemmeno a scherzare, ma attraverso il Parlamento.

La seconda grave conseguenza derivante da questo modo del tutto autoreferenziale di gestire l’emergenza, è la nascita e diffusione della cultura del governo autoritario.

Come si accennava, allo stato di diritto si pretende di sostituire lo “stato di eccezione”. Si tende ad effettuare una commutazione da una situazione di legalità, nella quale cioè le istituzioni devono rispettare le leggi (the rule of law), ad una situazione di mera legittimazione, in cui l’ordinamento politico si legittima in funzione non della legge emanata dal Parlamento in nome del Popolo, ma di argomenti giuridici e morali extralegali che lo fanno ritenere degno d'essere riconosciuto all'interno (dai consociati) e all'esterno (dalla comunità internazionale). La situazione d’emergenza sarebbe per se stessa uno di questi argomenti.

In realtà, però, l’iniziativa del riconoscimento della situazione di emergenza è del Governo, e la sospensione del diritto avviene a favore del Governo, e infine è lo stesso Governo che produce la norma. Quindi, la norma non trova la sua legittimità nella situazione di emergenza, ma solo il pretesto e si autolegittima in modo autoreferenziale: il Governo dichiara l’esistenza della emergenza e su tale sua stessa dichiarazione legittima la norma che egli stesso emana. Di fatto il Governo esercita la vera sovranità, commutando il sistema da stato di diritto/legalità a un autoreferenziale stato di eccezione/legittimità.

Va da sé che il Governo, per definizione, in una situazione di crisi emergenziale pretende anche per sé il controllo totale di ogni ambito della società. Ciò soprattutto in contrapposizione con lo stato liberal-democratico basato sul compromesso democratico, per ciò solo ritenuto incapace di decisione politica e di sovranità. E’ il totalitarismo il cui pericolo è evidente.

Emerge e si rafforza, così, la visione dell’illuminato uomo solo al comando, in possesso della verità che, quale uomo della provvidenza, finalmente inaugura una fase decisionale e giunge a condurre questo Paese verso le progressive strade della così detta democrazia cinese o coreana.

Una cultura che si manifesta oggi all’interno delle istituzioni prima di tutto coll’ignorare il ruolo del Parlamento.

Esteriormente, nel modo di trattare i cittadini da sudditi di un Paese delle banane. Come se essi fossero non i veri titolari di questo Stato, ma una manica di incoscienti, da minacciare delle sanzioni più gravi, senza dare loro l’informazione corretta e quindi senza chiederne il consenso e la condivisione.

Non paghi di avere creato la massima confusione possibile, avendo diffuso direttive, informazioni, disposizioni, ordini, divieti, obblighi i più disparati e contraddittori tra di loro (siamo al quarto modello di autodichiarazione!), attraverso provvedimenti di almeno tre autorità differenti, spesso in contrasto, mai chiari e semplici. Avendo omesso di applicare i principi costituzionali di chiarezza e trasparenza nella formazione della norma, spiegando ai cittadini i meccanismi che hanno condotto a determinate scelte, i responsabili politici di questo Paese, come tutti i pessimi comandanti, non trovano di meglio che alzare la voce e minacciare le grida manzoniane più terribili, dall’applicazione dell’art. 650 c.p., al reato di procurata epidemia con colpa cosciente (dodici anni) o dolo eventuale (sino all’ergastolo); al sequestro dell’auto, se colti in circolazione, del negozio se aperto illegittimamente. Tutte conseguenze minacciate dal Ministro dell’Interno (ancora lei!) con circolare del 12 marzo 2020, n. 15350, di sua iniziativa in assenza di una qualsiasi direttiva o pronunciamento del Consiglio dei Ministri.

E aggiungiamo il via libera senza verifiche e registrazioni ai droni della Polizia per pedinare e controllare questi sudditi indisciplinati; e ancora le raccomandazioni della polizia municipale di Roma, (circolare VIII gruppo Polizia di Roma Capitale del 19 marzo, n. 18012, vera cartina di tornasole di come poi si realizza nei fatti l’azione amministrativa in mano agli uomini) perché i controlli a tappetto ingenerino “timore e rispetto”, con un linguaggio da sbirro papalino che ha a che fare con la plebe stracciona piuttosto che con cittadini.

Questa cultura totalitaria è diffusa e sostenuta nella opinione pubblica anche attraverso i media, senza che il Governo richiami invece tutti ai princìpi e ai valori della nostra Costituzione che informano il nostro modello di democrazia occidentale, nella quale forse molti non credono nemmeno essi.

Assistiamo alla apoteosi del modello cinese, ove grazie ad una app di riconoscimento facciale il Governo è in grado di riconoscere, monitorare e seguire negli spostamenti tutti i cittadini. Ed infatti, a margine del consiglio dei ministri del 24 marzo la ministro per l’innovazione tecnologica, sempre in nome dell’emergenza ca va sans dire, ha dichiarato alla stampa che è buona cosa l’adozione di queste app “meglio se volontarie”, cioè a dire “comunque le imporremo”.

Qualcuno sottolinea solo un presunto contrasto tra necessità e riservatezza, risolto ovviamente a favore della prima. Non rendendosi conto che non di riservatezza si tratti ma di libertà. Di un diverso concetto antropologico di libertà dell’individuo, annegato, secondo costoro, nella collettività tribale senza diritti che non siano quelli riconosciuti dalla tribù.

Il vero dramma è che si lavora verso un tale regime senza nemmeno rendersi conto delle conseguenze etiche e culturali. Di quanto ciò significhi il ripudio di una cultura della democrazia formatasi in oltre duemila anni di storia occidentale a prezzo, questa sì, di lacrime e sangue, quella libertà che “va cercando ch’é sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”.

Insomma: assistiamo al tentativo di una mutazione genetica della nostra democrazia occidentale. Da democrazia di uguali titolari della sovranità, a sudditi impotenti di un potere irresponsabile e immotivato.

Improvvisamente è il 1984 di Orwell, o se si vuole il Medio Evo.

E’ chiaramente una situazione di marasma paragonabile solo a quella in cui l’Italia si trovò dopo l’8 settembre. Una situazione di grande disordine e decadenza delle istituzioni sociali. Dal marasma, ancora reversibile, alla cachessia irreversibile il passo è breve, e non è certo dovuto al virus.

Vi è un solo modo, allo stato, per recuperare la legalità costituzionale e restituire ai cittadini la loro sovranità, conciliando emergenza e diritti costituzionali.

Quello di spostare immediatamente in Parlamento l’asse della discussione ma soprattutto della decisione politica. Come cittadini, non possiamo non prendere atto con grande preoccupazione che sino ad oggi il Governo, invece, ha volutamente tenuto fuori dal dibattito politico il Parlamento, cioè il Popolo cui solo appartiene la sovranità (art. 1 Cost.), continuando ad agire in via amministrativa adottando però misure squisitamente politiche e di rango costituzionale, come se niente fosse.

Oggi il Governo ha accentrato in sé il potere legislativo ed esecutivo. Errore da cui Montesquieu metteva in guardia. Non quello giudiziario, però. Il sogno sarebbe che questo, se mai dovesse essere coinvolto, avesse il coraggio di decidere, magari in via cautelare, l’esistenza di un obbligo di sottoporre al Parlamento tutte le norme che abbiano impatto sui diritti costituzionali, tramite decreti legge.

Ed infatti, come osserva il costituzionalista Giovanni Guzzetta, lo strumento previsto dalla Costituzione in casi di emergenza (art. 77) è il decreto-legge, ideato dai costituenti proprio per fronteggiare le straordinarie situazioni di necessità ed urgenza. “Il decreto-legge è l’unico atto costituzionalmente corretto in grado di sostituirsi provvisoriamente a qualsiasi norma dell'ordinamento (anche relativa a diritti fondamentali come la libertà personale) e a operare sia su tutto il territorio nazionale he su porzioni di esso.”. Ma soprattutto esso, secondo Costituzione, è sottoposto alla conversione da parte del Parlamento, vale a dire è benedetto dal consenso del popolo attraverso i suoi rappresentanti, cioè, come dice ancora Guzzetta: “reso pubblico e sottoposto allo scrutinio e all'approvazione del Parlamento mediante leggi di conversione; e dunque con un procedimento ostensibile, trasparente e controllabile dai cittadini".

Assediato dalle critiche, giunti in un momento di confusione quasi irreversibile, il Governo ha preso una iniziativa che, apparentemente, va nella direzione sin qui auspicata. Ma è solo una impressione, solo una finta per confondere le acque.

Ha presentato in Parlamento un decreto legge il quale contiene il seguente schema logico:

All’art. 1 si afferma che per combattere la pandemia possono essere adottate numerose misure puntualmente elencate al comma 2: limitazione della circolazione, chiusura di esercizi, etc. Sono riportate così 28 misure, tra cui tutte quelle già disposte nei mesi scorsi con i DPCM e alcuni d.l. che sono quindi riprese, e confermate, ma non immediatamente disposte.

All’art. 2, infatti, si autorizza il Presidente del Consiglio a adottare le misure di cui sopra con DPCM, della durata di trenta giorni ciascuno, reiterabili, e fino al 31 luglio 2020, termine della emergenza nazionale.

Il Presidente del Consiglio nel pomeriggio del 25 marzo, alla Camera, ha argomentato la necessità di utilizzare questo schema logico perché nella nostra Costituzione non esiste una norma specifica per l’emergenza. Quindi, attraverso la norma interposta del decreto legge, si sarebbe legittimato ciò che, alla sola luce della normativa sanitaria e di protezione civile, incorreva nelle critiche che sino a qui abbiamo illustrato.

Ovviamente si sbaglia, per due considerazioni:

La prima, che nella nostra Costituzione è invece esattamente previsto il caso della emergenza, qualunque essa sia, contrariamente a quanto ritiene il Governo. Tanto che la legge sulla protezione civile non ha mai fatto sorgere dubbi di costituzionalità perché si è mossa con molta prudenza tra necessità emergenziale e Costituzione. L’emergenza è esattamente delineata nell’art. 77: “Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”. E’ banale sottolineare la identità dell’endiadi “necessità e urgenza” con “contingenza e urgenza”. In altri termini, quella eccezione di cui si ha bisogno talvolta si può avere con le ordinanze contingibili e urgenti, come tampone e per pochi giorni, subito sostituite, se incidenti sulle libertà civili, dal ricorso al decreto legge che sposta la decisione e la responsabilità politica sul popolo, attraverso i suoi rappresentanti. E’ quanto si è sostenuto in questo testo, scritto prima della presentazione del d.l.

Probabilmente, lamentando l’assenza di una clausola di emergenza, il Presidente si riferiva invece, auspicandola, alla istituzione dello Stato di eccezione che tanto piace ai decisionisti.

Il secondo motivo di errore è costituito dal fatto che sono cambiate le parole, ma la sostanza dell’intervento non è cambiata. Con questo decreto legge non si è attribuito al Parlamento il potere di stabilire esso le misure concretamente adottate. In altri termini non è il Parlamento che deciderà in sede di conversione se impedire la circolazione, chiudere i cinema o no, ma sarà sempre il Presidente del Consiglio con suo DPCM a prendere la decisione. Quindi nulla cambia rispetto a prima, salvo che l’autorizzazione della legge ad adottare le misure, nel sistema precedente forse incerta, oggi è chiaramente espressa.

Ma sempre di atti amministrativi si tratta, sempre di rottura della legalità costituzionale si tratta, sempre di sottrazione alla volontà del Parlamento della concretezza e opportunità della sospensione di diritti costituzionali si tratta, sempre di mettere in mano a un solo uomo le sorti del Paese si tratta.

Ben altro era quanto si chiedeva. Cioè che fosse il Parlamento ad assumere la decisione se sospendere parte della Costituzione, non di demandarla ancora una volta al Governo. Questo è l’unico mezzo per risolvere un impasse costituzionale altrimenti irrisolvibile. Perché possiamo girarci intorno quanto vogliamo e illustrare tutti i motivi di interesse pubblico che vogliamo, ma la pura verità è che una parte dei sacri diritti costituzionali, e tra i più importanti, è temporaneamente annullata ad libitum del Presidente del Consiglio. Solo il Parlamento ha la forza, prima che giuridica, morale ed etica, di assumere questa decisione e nessun maquillage furbetto può annullare questa indefettibile verità.

Insomma, deve essere ristabilita nei fatti, e non solo nelle dichiarazioni paludate, l’appartenenza della sovranità al Popolo e non al Governo. Ribadendo così che il Governo è un servitore del Popolo, e non il suo padrone; che nessuno può dare per scontato che il Governo abbia la statura e le capacità per essere all’altezza del suo compito, ma che il popolo deve costantemente vigilare su di esso, come giustamente raccomandava Tocqueville.

Se il fondamento di una società civile è il così detto contratto sociale, occorre però che i governanti si rendano conto che questo contratto, come il matrimonio, è un negozio giuridico cui si presta il proprio consenso quotidianamente, ma soprattutto nei momenti topici come questi, e attraverso gli strumenti e le procedure previsti dalla Costituzione. La differenza non è di poco conto: il contraente furbastro e un po’ inaffidabile da tenere sotto controllo è il Governo, ma i cattivi governanti reputano il contrario.

In poche parole come disse Abramo Lincoln nel discorso di Gettysburg: “Un governo del Popolo, dal Popolo, per il Popolo”.

Stupisce che i tradizionali guardiani della legalità costituzionale, così attenti alle sfumature e a ricercare il pelo nell’uovo, questa volta non si accorgano della china intrapresa.

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“Libertà va cercando ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri - canto I vv. 70-72)
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